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The Way Back – Camminata per la salvezza

The Way Back – Camminata per la salvezza

La tragedia del naufragio di un barcone carico di migranti al largo delle coste dell’isola di Lampedusa, che ha colpito nel profondo l’Italia intera, mi ha fatto ripensare ad un film che ho visto di recente.

Le oltre 500 persone, tra uomini donne e bambini, che sono partiti qualche giorno fa dalle coste africane per giungere in Italia, scappavano da situazioni tragiche, da paesi dove ogni giorno era a rischio la loro sopravvivenza. Persone che un giorno dicono “basta” e partono, si mettono in viaggio. Viaggio non inteso con la visione occidentale e borghese del “prenota on-line e parti”, ma viaggio come partire da un luogo inospitale per cercare un luogo dove poter finalmente vivere in pace. The Way Back parla proprio di questo, parla di un viaggio della salvezza.

The Way Back è un film del 2010, tratto da una storia vera, scritto e diretto da Peter Weir (regista di celebri pellicole come L’attimo fuggenteThe Truman showMaster & Commander), frutto del riadattamento cinematografico del libro The Long Walk opera autobiografica di Sławomir Rawicz.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=hMxuu0UB_AY[/youtube]

Storia.  Il film è ambientato in Russia durante la II^ guerra mondiale. Un giovane ufficiale polacco, Janusz Wieszczek (Jim Sturgess) viene accusato di spionaggio dal NKVD (polizia segreta russa) e viene condannato a 25 anni di reclusione da scontare in un gulag in Siberia. L’ambiente del carcere, i ritmi di lavoro e le condizioni estreme del clima siberiano, rendono il posto un inferno sulla terra. Nel gulag Januz incontra Mr. Smith (Ed Harris) un ingegnere americano, Khabarov (Mark Strong) un attore, Valka (Colin Farrell) spietato criminale russo, Tomasz artista polacco, Voss un prete lettone, Kazik un polacco che soffre di cecità notturna e Zoran un contabile della Yugoslavia. Queste persone, con differenti storie alle spalle, decidono di rischiare il tutto per tutto e di fuggire dal gulag, dirigendosi a Sud. I sei affrontano così il loro viaggio verso la salvezza, una camminata di 6500 km, affrontando le montagne russe meridionali, il deserto del Gobi, L’Hymalaya, soffrendo costantemente la fame e la sete.  Soltanto nel 1942 il gruppo di migranti giunge in India stremato, e con qualche individuo in meno, ma pur sempre in salvo.

Il film, che cade pienamente nel filone survival, colpisce nel segno, facendoci capire che gli esseri umani, se si sentono privati della libertà sono capaci di grandi fatiche, fino a rischiare la propria vita. Il regista ci catapulta nel clima rigido delle montagne siberiane e subito nel deserto del Gobi, facendoci quasi provare in prima persona le estreme sofferenze che i sei migranti hanno dovuto affrontare.

Il film lo consiglio a quelli (che spero siano pochi) che pensano che migrare non sia un diritto e che sarebbe bene respingere i barconi dalle nostre coste anche con la forza. Tra le 302 vittime di Lampedusa forse c’era chi, come Janusz, fuggiva da un regime, scappava per mettersi in salvo o fuggiva per avere una possibilità di vivere felice con la speranza di morire da uomo libero.

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