L’Italia è un paese amato e rispettato nel mondo soprattutto per quanto riguarda l’arte culinaria: l’export di generi alimentari è uno dei nostri punti di forza e motivi d’orgoglio, basti pensare a quanto appeal hanno squisitezze come pizza, olio e vino nei paesi gastronomicamente più poveri.
Da qualche mese l’Italia, e più precisamente la Toscana, ha occupato la sala del trono della regina Elisabetta offrendo al banchetto domenicale non gustose portate ma una buona dose di sapienza calcistica. Da qualche mese, infatti, siamo diventati esportatori di football nella terra in cui il football è nato e tutto questo grazie ad un signorone toscano con l’innato vizio del fumo, delle tute da passeggio, che contrappone quotidianamente ai bei vestiti, e alle ipocrite buone maniere che il mondo del calcio in televisione imporrebbe.
Ovviamente, stiamo parlando di Maurizio Sarri e del suo ormai celebre Sarriball, nomignolo coniato dai tifosi del Chelsea per etichettare il gioco spettacolare del loro allenatore. Sarri è nato a Napoli, ma è cresciuto tra i territori del Valdarno e le mura della banca di Firenze, dove ha lavorato prima di dedicarsi interamente al calcio.
Accolto, tra i dubbi, alla corte del proprietario dei blues Roman Abramovič dopo un’insolita staffetta con un altro italiano, Antonio Conte, è riuscito a farsi adorare in pochissimo tempo, non solo per la sua schiettezza e per la sua inaspettata padronanza della lingua inglese, ma anche e soprattutto per il calcio intenso, poetico e bello che riesce a far esprimere alla propria squadra.
Ma a tutto questo, Sarri, ci aveva già abituato in Italia, quando il grande pubblico aveva potuto conoscerlo ed ammirarlo sulle panchine di Empoli prima e Napoli poi. Tuttavia, come tutti i personaggi storici che si rispettino, c’è un passato da raccontare, un passato che ha segnato in maniera indelebile la sua carriera, facendolo diventare l’uomo e il professionista che è ora. Una commistione di sangue campano e toscano, che lo ha reso tra gli allenatori più iconici e amati della contemporaneità, anche oltremanica.
Con questo articolo voglio ripercorrere, dunque, le tappe principali che hanno indirizzato Sarri verso la conquista della Serie A e, successivamente, della Premier League. Racconterò Sarri abbinando ad ogni squadra un pacchetto di sigarette che porta gli stessi colori sociali della maglia. La sigaretta è un segno distintivo per Sarri da diventarne metonimia: crea, il fumo, quell’aura di provincialità e, perché no, di toscanità, che contraddistinguono l’inizio, dal basso, di una carriera scintillante. Tutto questo, tuttavia, senza mai elevarsi sul piedistallo dell’intoccabilità che media e celebrità costruiscono sotto i piedi dei personaggi famosi.
MARLBORO ROSSE – Il Tegoleto e il posto per la macchina
A Tegoleto, frazione di Civitella in Valdichiana, provincia di Arezzo, Sarri arriva dopo quasi 10 anni di esperienza in panchina: prima aveva allenato Stia, Faellese, Cavriglia, Antella e Valdema, ottenendo buoni risultati tra Seconda Categoria, Promozione ed Eccellenza.
Tegoleto rappresenta, per Sarri, la svolta della carriera: sarà la prima vera stagione in cui potrà dedicarsi totalmente al lavoro di allenatore, dopo aver riposto per sempre nel polveroso armadio di casa la giacca elegante da impiegato di banca.
Ci immaginiamo, dunque, un Sarri super meticoloso arrivare un paio d’ore prima dell’allenamento al campo sportivo, avviare il suo pacchetto rigorosamente morbido di Marlboro Rosse e iniziare a ingurgitarne una dopo l’altra, tra fogli impiastricciati pieni di schemi e cenere accidentalmente cadutagli sulla tuta.
“La sigaretta per eccellenza” diventa “la sigaretta per salvarsi in un campionato di Eccellenza”. Sarri, infatti, arriva undicesimo ottenendo la salvezza con qualche giornata di anticipo, anche grazie a qualche accorgimento cabalistico: celebre quella volta – racconta Roberto Bacci, Ds del Tegoleto – in cui uno sconosciuto parcheggiò la macchina nel posto dove Sarri la metteva ogni domenica”
“Si incazzò tantissimo, continuava a dì che se ‘un se cavava quella macchina di lì ‘un si sarebbe nemmeno potuto giocà. Io aspettai lì, ogni persona che veniva gli chiedevo se era sua la macchina, alla fine arrivò il proprietario e gentilmente ce la spostò. A quel punto Maurizio la rimise al su’ posto”.
Ovviamente, la partita terminò con una vittoria per i biancorossi di Sarri. Scaramanzia? O, semplicemente, espressione fenotipica del gene napoletano che vive in lui?
PHILIP MORRIS GIALLE – La Sansovino e il sinistro stradale sistematico
La grande stagione col Tegoleto convince la Sansovino a puntare su Sarri, per portare gli arancioblù in Serie D dopo anni di stabile presenza nel campionato di Eccellenza. A volere a tutti i costi Maurizio sulla panchina della Sanso è Nario Cardini, al tempo Ds, che amava la quadratura tattica delle squadre allenate dal tecnico. “Ogni volta che si giocava contro una squadra di Sarri c’era da soffrì sempre, e a me mi garbavano le squadre toste in quel modo”.
L’esperienza di Sarri alla Sansovino è memorabile, come il sapore di una Philip Morris accompagnata a una birra scura o, forse ancora meglio, a un vino rosso bello corposo tipico toscano. Sì, sicuramente l’immagine di Sarri con una Philip Morris in una mano e un bicchiere di vino nell’altra, alla sagra della porchetta di Monte San Savino, è più convincente.
Il primo anno vince l’Eccellenza portando la squadra in Serie D, ma dopo un sesto posto il tecnico compie il miracolo nella stagione 2002/2003: arrivano, insieme, il secondo posto nel campionato e la vittoria della Coppa Italia, che gli valgono la promozione in Serie C2.
Soprannominato “Mister 33” da un giornalista per la varietà infinita di schemi su palla inattiva, anche con la Sansovino si rende protagonista di qualche scongiuro particolare:
Lo stesso Nario Cardini ricorda le tre spighe di grano – “gli dissi che un uomo aveva detto che se si prendevano tre spighe di grano si vinceva, lui fermò la macchina e ne colse tre da un campo. Si vinse, e da quel giorno diventò una cosa fissa” – ma anche un’altra strana abitudine.
“C’era un giocatore, Marco Fara, che portò da Tegoleto. Una domenica per fare retromarcia gli batté la macchina, dopo si vinse, e così ogni domenica il mister a Fara gli faceva mettere la macchina al solito posto, partiva in retromarcia e gliela batteva piano piano, come fece involontariamente la prima volta. Fara non era molto contento, ma insomma per Maurizio si faceva tutto”.
GAULOISES ROSSE – L’Arezzo e la prima staffetta con Antonio Conte
Sarri, a questo punto della carriera, è un allenatore così stimato nel circondario toscano che l’indimenticato presidente Arduino Casprini, noto imprenditore valdarnese e proprietario della Sangiovannese, decide di ingaggiarlo per il campionato di C2 subito dopo il miracolo compiuto dallo stesso mister con la Sansovino.
La scelta si rivela azzeccata, e Sarri conduce la Sangiovannese alla promozione in C1 alla prima esperienza sulla panchina dei biancoazzurri. Il salto di categoria è doveroso, e così due anni più tardi in Serie B salva un’altra squadra di biancoazzurri, il Pescara, prima di approdare inaspettatamente all’Arezzo.
La scelta, infatti, è di quelle coraggiose, come il pacchetto di Gauloises rosse amaranto che Sarri sicuramente esibiva a ogni uscita con la tuta degli aretini. Se fumi Gauloises aspiri a metterti alla pari di artisti eclettici e immortali: il cubista Picasso, l’esistenzialista Sartre o il sognatore John Lennon, per citarne alcuni, fumavano Gauloises, come segno distintivo di superiorità intellettuale.
E così Sarri, sigaretta in bocca, prende le redini di un Arezzo a -1 in classifica, sfilando il timone per la prima volta nella sua carriera dalle mani di Antonio Conte. Ci mette cinque giornate a vincere la prima partita, contro il Pescara sua ex squadra, ma è a ridosso di Natale che scrive la storia dell’Arezzo: in una fredda serata all’Olimpico di Torino, contro la Juventus, i suoi ragazzi ribaltano due reti di svantaggio e pareggiano contro i bianconeri di Buffon, Del Piero, Trezeguet e compagnia. Non gli ultimi arrivati, insomma.
In un’intervista sgranata su Youtube, per “Amaranto Story”, Sarri racconta tutta la partita, dalla sensazione di impotenza provata passando accanto a quei mostri sacri vestiti di bianconero, fino alla lucida follia che ha permesso ai suoi di portare a casa un 2-2 sulla carta imponderabile.
Sarà stato il sale sparso prima di ogni match sul terreno del “Città di Arezzo”? O la fissa per le calzature total black da far indossare ai propri giocatori? Anche se lasciare la moglie nel pullman, perché portava sfiga, durante una trasferta a Bari, come accorgimento scaramantico li batte un po’ tutti.
CAMEL BLUE – L’Empoli
Arriviamo così all’ultimo capitolo della sua carriera toscana e non poteva che concludersi in Serie A. Lo sceglie l’Empoli, che Sarri conduce verso la massima categoria dopo due anni di B: prima perde il playoff col Livorno, ma la stagione successiva arriva secondo e conquista la A per direttissima.
Il resto è un trionfo.
Sarri, con una squadra data praticamente per spacciata ad inizio campionato, si salva con quattro giornate di anticipo. Il suo Empoli verrà ricordato come una tra le squadre più all’avanguardia del calcio italiano moderno, un 4-3-1-2 pieno di tecnica e fantasia: i gol di Maccarone, gli assist dei trequartisti Saponara e Verdi, una difesa ferrea composta da Hysaj-Tonelli-Rugani-Mario Rui, che adesso giocano tra Napoli, Juventus e Sampdoria. Un gioco spumeggiante, il vero inizio del Sarriball, in grado di mettere in difficoltà squadre come Napoli, Inter e Milan.
Premesse molto hard, esito finale light, come il pacchetto di Camel Blue fumato puntualmente tra primo e secondo tempo, lontano dalle telecamere. Come il mozzicone di sigaretta finita continuamente masticato durante la partita, diventato ormai il simbolo che identifica Sarri nell’immaginario popolare.
L’iconicità del personaggio Maurizio Sarri è dunque dovuta alla sua strenua lotta contro la mercificazione delle passioni calcistiche, che porta avanti da sempre pur trovandosi ad allenare una squadra famosa in tutto il mondo e dai profitti miliardari come il Chelsea.
Alla fine, allora, ci piace comunque immaginarlo nello stesso modo in cui l’abbiamo conosciuto in Toscana.
A salutare sempre l’ultramiliardario proprietario Roman Abramovič stringendogli la mano con la sinistra, perché fece così la prima volta e la domenica successiva ha trovato la prima vittoria contro l’Huddersfield; o urtando every Sunday contro la Ferrari di Eden Hazard, candidato al Pallone d’Oro, perché il sabato precedente l’aveva fatto e il belga aveva messo a segno una tripletta col Cardiff.
Riferimenti.