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Undici ragazzi scomparsi: puro ingegno cinematografico

Undici ragazzi scomparsi: puro ingegno cinematografico

Alex Marchi, regista il 14 agosto 2014 scrive sul suo blog AlexMarchi86: 

“Abbiamo finto persone scomparse. Abbiamo impiccato una persona. Viva. Abbiamo finto il sangue. Abbiamo girato un falso backstage. Abbiamo finto di girare un videoclip. Abbiamo finto morti. Abbiamo finto così tanto che la gente c’ha creduto. Quanta fede nelle notizie trovate sul web! Si critica un libro. Si dubita di un uomo. Ma si venera la notizia flash on line. E la bufala si spande con una bomba-H”.

Questo colpo secco di machete, con una retorica paratattica e lapidaria, incide la presentazione di quello che è il suo ultimo lavoro: IMG_1469.MOV

Il film è online ormai da tempo, sebbene appena caricato online non si sia proposto come opera di ingegno cinematografico, bensì come documentario amatoriale di due band del territorio, i TOSCANA SUD e gli AMNESIA. Il dato realmente interessante di questa produzione è il fatto che riesca a toccare, nel locale, grandi temi del postmodernismo globale; il gioco tra la realtà e la finzione, l’inganno, il trompe l’oeil, la fiction che pervade le sfere della vita quotidiana.

Ho incontrato Alex e Gabriele Marchi, fratelli poliziani, collaboratori fissi da anni, per parlare di questo progetto.

Quali sono state le tappe per la genesi di IMG_1469.MOV?

“L’idea originale era quella di fare un falso test di videocamera. Uno dei tanti che si vedono su youtube per dimostrare le qualità di ripresa di una camera appena uscita. Le immagini sarebbero dovute essere delle finte riprese di prova – sulla saturazione, definizione, eccetera – durante le quali sarebbe dovuto accadere un omicidio in diretta, sullo sfondo. L’idea poi si è sviluppata; il “test” è diventato un video di backstage, a bassa qualità, ma con uno snodo narrativo più complesso e più lungo. Ho cercato due band musicali note al pubblico del territorio, ed ho chiesto loro un impegno che andava oltre la partecipazione alle riprese. Avrebbero dovuto debordare la finzione nella vita reale; secondo il progetto iniziale i ragazzi delle band sarebbero dovuti sparire realmente, per cinque giorni dal momento in cui veniva caricato il filmato. A quel punto la cosa sarebbe diventata veramente forte. Però, come si poteva immaginare, quando il primo giorno di assenza è uscito un falso articolo su alcune testate, un falso montaggio, quando hanno iniziato ad accavallarsi problemi – anche abbastanza seri – che hanno coinvolto le famiglie, i fidanzati e gli amici degli attori, alcuni non hanno retto ed hanno fatto cadere la fiction. Non ce l’abbiamo fatta a tenere duro tutti fino alla fine. Di fatto però quello che volevo si è comunque verificato; la notizia è circolata ed ha creato dissenso, polemiche e confusione. È stato sorprendente il fatto che la gente ci abbia creduto veramente!”

Come è avvenuta la scelta dei partecipanti al progetto? Perché due band musicali? E perché proprio i TOSCANA SUD e gli AMNESIA?

“Parlando con un amico, in seguito alla notte degli Oscar, parlavamo della performance di Jared Leto in “Dallas Buyers Club”; lo scarto che c’è tra frontman di una band e attore è molto sottile. Cantare è comunque una forma di recitazione. Un cantante è una persona abituata a stare di fronte al pubblico, abituata a ricostruire un’emozione, una forza espressiva o un modulo della voce. Allo stesso tempo, quello che ceravo per il progetto era una scioltezza di fondo; dovevano essere il più naturali possibile nella performance. Mi servivano quindi persone senza precetti di tecnica recitativa.
Le due band che ho scelto sono le più conosciute tra i ragazzi del territorio; poi erano tanti. Undici persone. Si prestavano bene anche numericamente, per lo snodo narrativo del film.
Con gli Amnesia avevo già lavorato in un videoclip, tra l’altro nella stessa location in cui ho girato IMG_1469.MOV. I toscana sud li ho contattati per il progetto e si sono mostrati subito entusiasti e disponibili”.

Dal punto di vista tecnico e dei mezzi utilizzati, come descrivi questo film?

“Abbiamo girato tutto inizialmente in 4k, in alta definizione, con mezzi tecnicamente validi. Successivamente abbiamo fatto un down-grade, per simulare la ripresa di uno smartphone; l’obiettivo era caricarlo su internet per modulare una richiesta di aiuto.
Ci sono volute due settimane effettive di preproduzione, organizzazione della sceneggiatura. Per le riprese ci abbiamo messo cinque giorni. I primi di luglio, durante i mondiali.
Il film è un PointOfView, un documentario in prima persona, che viene caricato online con lo stesso mezzo con cui si presuppone sia stato girato.
Siamo abituati a Hollywood, con attori straordinariamente bravi; ma vedendo un film, con questi attori così bravi, siamo costretti a considerare il fatto che ciò che vediamo sia finto. Ecco, volevo varcare questo limite; entrare nella realtà attraverso l’arte filmica. Ci sono riuscito in parte, anche se i nervi scoperti che volevo toccare, li ho toccati. Peccato si sia spento tutto troppo presto.
Ovviamente c’è una tradizione del genere che ho voluto proporre, il “found footage”; il capostipite è Cannibal Holocaust, di Ruggero Deodato, del 1980, oppure grandi successi più recenti sono “The Blair Wich Project”, “Cloverfield”, o “Paranormal Activity”. Si tratta di costruire il film sull’espediente narrativo del ritrovamento di un filmato, i cui “operatori” – spesso amatoriali – sono scomparsi o morti, e sull’assemblaggio, da parte di un montatore, degli elementi ritrovati. Abbiamo cercato di “aggiornare” il genere; non un found-footage ma un uploaded-footage; il giorno dopo la scomparsa dei ragazzi c’è subito il documento che testimonia i fatti, caricato in rete, a disposizione di tutti, come una richiesta di aiuto.
Non c’è stato alcun ritocco sugli effetti, in postproduzione. Non abbiamo aggiunto nessun suono oltre a quelli d’ambiente captati durante le riprese. L’unica intenzione è stata quella di simulare una continuità di fondo”.

Hai concepito il progetto insieme alla struttura. Ti sei posto il problema di come possa essere recepito questo tipo di prodotto fuori dal “local”, fuori dal contesto di chi ha vissuto tutta la cornice?

“Paradossalmente credo che sia meglio farlo uscire dalla cerchia, a questo punto; alcuni si sono sentiti presi in giro, dalla notizia della notizia falsa, molti si sono arrabbiati… Non voleva essere una pubblicità ma qualcosa in coerenza con il progetto. Credo che il casino che è successo abbia in parte screditato l’idea di base. Sarebbe perfetto riuscire a far passare anche nel globale l’involucro con cui è stato presentato il film.
Ti dirò una cosa strana; è un film che fondamentalmente è noioso. Volutamente. Il ritmo doveva scendere a livello insignificante, per abbassare le difese immunitarie dello spettatore rispetto alla finzione. Se avessi messo in serie tutte scene interessanti, il gioco di realtà-finzione sarebbe stato tradito da un film con un ritmo altissimo. Non sarebbe stato credibile. Se si guardano i filmati amatoriali sono di una noia mortale, ma allo stesso tempo, per una serie di motivi diversi, diventano interessanti. Volevo far scendere le aspettative dello spettatore in modo che alla fine rimanga più colpito”.

Quanto credi nelle visualizzazioni online?

“Hanno un significato minimo; sono importanti ma non possono essere l’obiettivo. Pensaci. I filmati virali che si intitolano “guardate cosa fa questa donna!” “Guardate questa ragazza! Scandalo!”, per racimolare visualizzazioni o linkare pubblicità e banner, fanno potenzialmente più “visualizzazioni” di Eyes Wide Shut. La maggior parte delle volte non c’è rispondenza diretta tra visualizzazioni e qualità. Finché si rimane a livello locale che le visite siano 1000 o 5000 o 10000 non cambia niente; tutto è veicolato dalle conoscenze dirette. Le visualizzazioni possono essere utili o inutili, ma non lo si può di certo carpire dai contatori di youtube”.

Nel 2014, un videomaker quale obiettivo dovrebbe avere pubblicando in rete?

“Io ho pubblicato in rete per coerenza con la trama e il progetto. Se però devo rispondere a questa domanda prescindendo dal progetto, ti dico che ad oggi, pubblicare un film, un corto o una clip in rete, non è un gesto che ti fornisce ricompense a breve termine. La pubblicazione online serve come banco di prova immediato, per capire le reazioni del pubblico, ma non è di certo una risposta totale al lavoro che fai. Il cinema, le accademie e i concorsi sono ancora il test “ufficiale” per garantire la qualità e il successo di ciò che hai fatto”.

Adesso il film è in concorso al Torino Film Festival.
Nella sua linearità, nella struttura che ha edificato, nella forza espressiva e riconoscibilità dei ragazzi che sono stati scelti come attori, merita sicuramente di essere visto. È online. È gratis. E ci riguarda tutti.

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