Intervistare Elena Roggi per Valdichiana Arcobaleno è stata un’esperienza diversa dai primi due articoli della rubrica. Per dirla tutta, non è andata secondo i piani, non sono riuscito a seguire la scaletta che mi porto sempre dietro ma va bene così: queste interviste sono un tentativo di lasciare spazio alla voce di chi si racconta, io mi metto al loro servizio.
Così se ho iniziato i primi due appuntamenti con una parte raccontata che si rifaceva ai generi narrativi preferiti dalle persone intervistate, eccomi qui a iniziare l’intervista a Elena Roggi con una “rottura della quarta parete”. Elena mi ha detto: non lo scelgo io il genere narrativo con cui inizi l’intervista, decidilo tu in base a quello che hai colto di me dopo la nostra chiacchierata.
Ecco, se dovessi descrivere l’atmosfera che mi ha suscitato parlare con lei dovrei fare riferimento ai film di TV8 del pomeriggio, quei film romantici un po’ patinati: le protagoniste sono donne di successo, dedite al lavoro, che riscoprono l’importanza dell’amore romantico e delle relazioni interpersonali. Elena Roggi, per sua stessa ammissione, è estremamente rigida e organizzata nel lavoro e nella gestione degli aspetti pratici della sua vita, non ha il caratteristico “blocco amoroso” delle protagoniste di TV8 (infatti è fidanzata), ma ha paura della solitudine. Aggiungiamoci la giornata luminosa in cui l’ho incontrata, l’aspetto curato e di classe del suo salone di parrucchiera, e la tranquillità con cui mi ha raccontato qualsiasi cosa ed ecco evocata nella mia mente l’atmosfera radiosa e quieta di quei film pomeridiani.
Tuttavia, in Elena e in tutto ciò che mi racconta, ci sono concretezza, schiettezza e nitidezza: tutte cose che al mio rimando cinematografico mancano. Fino a prima della pandemia la protagonista di questa storia faceva, per passione, la ballerina in discoteca in perizoma; e lo faceva con la stessa professionalità con cui da sempre fa la parrucchiera. Questo in un film di TV8 non potrebbero raccontarlo. Non ci sarebbe nemmeno il momento in cui Elena mi dice “Se sono single e ho da fare un po**ino in discoteca stasera, vado e lo faccio”. C’è chi potrebbe definirla trasgressione, ma lei non è d’accordo: la trasgressione è altra, questa è solo apertura mentale.
Elena Roggi ha 42 anni, fa la parrucchiera e fa spettacoli di magia per i bambini. Una “vita normalissima”, mi dice. Anche se lavora nel settore dell’estetica, considera l’intelligenza più importante dell’aspetto, sebbene in passato sia stata “schiava dell’estetica”; adesso ci tiene a essere curata, ma si sente indipendente dalla bellezza e va in discoteca struccata e con i vestiti del lavoro. È nata e cresciuta a Sinalunga, ci vive e ci lavora. A questa presentazione io, che ho sempre cercato di iniziare con la domanda “Come ti definisci?” ho dovuto deviare dalla strada battuta.
È stata una scelta quella di rimanere sempre a Sinalunga?
“L’ho fatto per il lavoro, perché quello che faccio mi piace molto ed è anche molto redditizio. Un tempo mi sarebbe piaciuto trasferirmi in una città, per avere più occasioni di vita sociale perché stando in un paese non ci sono tante amicizie. Se avessi fatto altro nella vita sicuramente sarei andata in città. Mi sarebbe anche piaciuto fare altri lavori: stare alla reception di un albergo, per esempio, e quello l’avrei fatto più volentieri in città per un fatto di strutture; ma il lavoro che faccio è appagante e va benissimo, quindi sono rimasta qui. Tu però sei venuto a parlare con me per parlare del cambio di sesso che ho fatto a 25 anni, quindi te lo racconto.”
Se ti va.
“Ma certo, figurati. Io all’asilo volevo essere una bambina, da adolescente volevo essere una ragazzina, mi sono sempre piaciute tutte le cose da femmina. L’ho sempre saputo, non è che me sono accorta a un certo punto della vita, però io non sapevo neanche cosa fosse il cambio di sesso e internet non era così accessibile come ora.
Quando ero in quinta superiore sono andata a ballare con una mia amica a Firenze e ho visto delle ragazze che avevano cambiato sesso. Allora proprio a Firenze mi sono informata sull’assunzione degli ormoni all’Istituto di genetica medica. Nel ’98 ho iniziato a prendere gli ormoni femminili e ho tolto i peli dal viso, ho rifatto il naso… insomma queste cose che si fanno per la femminilizzazione. Nel 2005 poi sono andata a Bangkok a fare il cambio di sesso, perché mi avevano detto che lì facevano una vagina profonda e sensibile. È stato tutto come da aspettativa.”
Come sai questo progetto, Valdichiana Arcobaleno, comprende varie interviste a persone lgbtqia+. Le parole, le “etichette” sono una parte importante di questa comunità. Elena Roggi come si definisce, se lo fa?
“Le etichette? Non ci capisco niente.”
Allora ti faccio una domanda più specifica: Elena Roggi è una donna trans o una donna e basta?
“Mi sento una donna che ha cambiato sesso, ma non come difetto. Ritengo che essere oggi donna con un percorso di cambio di sesso mi rende una donna migliore delle altre: non rimango incinta, ho voce e mani più da camionista, però a livello di interiorità sento di avere delle cose che una donna biologica non può avere, ma non perché siano inferiori, intendi bene. È come se una persona dopo dieci anni a insegnare matematica diventasse parrucchiera: è una parrucchiera e in più ha fatto anche l’insegnante di matematica. Io invece che un percorso professionale ho fatto un percorso interiore: sono una donna che in più è stata uomo. Il percorso che ho fatto non è stata una malattia, ma una difficoltà sì, e mi ha fatto crescere sotto tanti aspetti.
Però nemmeno mi definisco donna e basta, perché non sono nata donna. Mi spiego meglio: conosco delle mie amiche che hanno cambiato sesso che col fidanzato hanno finto anche il ciclo mestruale pur di non far conoscere il loro passato. Mi sembra una cosa così brutta da fare, perché il mio fidanzato deve amarmi e stare con me sapendo tutto. Io mi relaziono con chiunque senza nascondere niente: che devo nascondere? Ero io, ho fatto un cambiamento. Come se diventassi mora e dovessi nascondere di essere stata più chiara prima. Sono una donna con un passato da uomo. Mi ritengo una donna ma consapevole che ero un uomo e come ne sono consapevole io ne sono consapevoli le persone con cui ho a che fare, perché se ne accorgono e perché io gliene parlo.
Però per le etichette sarei più “trans”, così vengo definita. Forse nel periodo di cambiamento mi ci sarei sentita, ma per me “la trans” è quella che ancora ha il pene. Però ora sono una donna che ha cambiato sesso. Poi non so quale sia l’etichetta esatta.”
Le etichette possono essere usate per descrivere la realtà, certo, però a me piacciono soprattutto quando le persone le scelgono per sé, per raccontarsi.
“Allora no, non ne uso nessuna1.”
Ascoltandoti mi sembra che tu sia abbastanza abituata a raccontare questa cosa. È una spigliatezza che viene dal tuo lavorare al pubblico?
“I clienti mi hanno sempre chiesto qualsiasi cosa e io ho sempre risposto, ma l’ho sempre avuta. Non ho niente da nascondere, non sono mica andata a rubare. Quando prendevo i primi ormoni stavo qui, vestita da uomo, e si vedeva questo piccolo seno che iniziava a venire fuori: mi chiedevano e io rispondevo che stavo prendendo gli ormoni.
Alle elementari mi mettevo il vestito da sposa della mamma e mi facevo vedere da lei, non è che mi nascondevo. Quando andavo a ballare anni fa ci andavo con delle mie amiche, allora amici, e ci andavamo da travestite. Loro si travestivano fuori casa, io lo facevo in casa: il babbo brontolava, la mamma si preoccupava, ma io mi travestivo in casa e quando ero pronta mi facevo anche vedere, perché non mi è mai sembrato giusto dover nascondere niente.
Se mi chiedi quale fosse la mia materia preferita a scuola te ne parlo con la stessa semplicità con cui ti parlo di quando sono stata a fare il cambio di sesso. È una cosa che fa parte della mia vita, come gli hobby che ho avuto, i campi solari che facevo a Farnetella o i ritiri spirituali con la parrocchia. È una cosa che fa parte della mia vita e non ha né più né meno importanza di altre cose che ho fatto.
Poi l’abitudine nel raccontarlo ha fatto in modo che ne potessi parlare in maniera più fluida, ma non ho minimamente pudore in questo. La vergogna è per altre cose.”
Sei sempre stata a Sinalunga. Ti è mai capitato di sentirti “l’unica persona lgbt” della zona? Come è stato crescere qui?
“Ho avuto sempre un carattere molto forte, ho sempre imposto le mie cose senza farmi influenzare dal pensiero della famiglia, degli amici, della chiesa o del lavoro. Quindi per me crescere in questa zona è stato normale; sofferente per alcuni aspetti ma normale, le stesse difficoltà le avrei avute anche a Milano. Ecco perché non ho mai sentito l’esigenza di andare via: sapevo che sarei voluta diventare una donna e ho iniziato a fare le cose per diventare donna, poi lo potevo fare a Milano come a Sinalunga.
Però a 14-15 anni pensavo di essere l’unico, sì, anche se non lo nascondevo. In quel momento non sapevo nemmeno che c’era la possibilità di diventare donna, ma mi piacevano i ragazzi e il senso di solitudine era dovuto al fatto che i miei amici avevano molte possibilità di incontrare una ragazzina, darle un bacio e cose del genere, era anche più semplice. Io no, perché pensavo di essere l’unico.
Poi ovviamente ci sono state le difficoltà legate ai procedimenti del cambio di sesso ma questo è un altro discorso. In più quando ho iniziato il percorso avevo il morale a terra, perché inizi a togliere i peli, ti fai il naso… mi sentivo un orrore. Magari sono un orrore anche ora ma non me ne frega più niente: quello che ho fatto ho fatto, più di così non posso fare o comunque non ho voglia di tornare in sala operatoria. Insomma, mi sento bene.”
L’intervista sembra finita, sto per andarmene quando a Elena viene in mente una cosa da aggiungere, così mi siedo di nuovo di fronte a lei.
“La cosa che ti racconto adesso non è per sottolineare che Elena Roggi fa spettacoli di magia per bambini, non è per mettere in luce quello che so fare, ma tu pensa: sono anni che vengo contattata dalle famiglie di bambini di cinque, sei, sette anni che mi ospitano a casa loro per fare uno spettacolo. Si parla di discriminazione, ma tu capisci cosa significa da persona che ha cambiato sesso andare a fare gli spettacoli di magia per i bambini? Questa è una grande accoglienza, è l’antidiscriminazione! E non è un merito mio, ma di tante famiglie che mi scelgono per fare questo. Vado a fare le feste per i bambini anche nelle parrocchie, alle cene delle scuole, nelle sagre. Per i bambini, non per gli adulti in perizoma: per me è come aver vinto qualcosa.
La discriminazione c’è, hai voglia se c’è. Se vado a fare la spesa ne sento mille di cose: guarda quella, quella ha cambiato sesso, quelli sono malati e così via. Però non c’è solo il brutto e io ti posso dare le prove: ho le foto con i bambini e i genitori. È un messaggio che posso mandare a chi vorrebbe cambiare sesso: le difficoltà ci sono, è pur sempre un cambiamento della propria vita, ma c’è anche la speranza.”
Elena Roggi non è una protagonista di un film di TV8 e per fortuna. La tranquillità che trasmette non è patinata, ma reale e consapevole. La saluto con un moto di speranza nel futuro.
Valdichiana Arcobaleno torna a ottobre con un’altra intervista. Se tu che stai leggendo sei una persona lgbtqia+ e vuoi raccontarci la tua esperienza, scrivici a redazione@lavaldichiana.it. Creiamo un mondo in cui tutte le persone possono esistere.
1Sebbene non mi piaccia entrare sulle parole altrui, devo specificare che le posizioni e le idee espresse da Elena sono distanti in alcuni tratti dalle posizioni scientifiche e accademiche su questi temi. Va bene così, perché Elena non è un’attivista: se volete informazioni o delucidazioni su termini ed etichette, chiedete. In ogni caso, anche “donna” è un’etichetta (così come “uomo”), sebbene non ci sia l’abitudine a pensarla in quanto tale.