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Valdichiana Arcobaleno – Una raccolta “parziale”

Valdichiana Arcobaleno – Una raccolta “parziale”

Valdichiana Arcobaleno, il cui frutto leggerete a breve (oppure avete già letto in passato), è nato con molti obiettivi in mente: dare visibilità, sensibilizzare, fare informazione, attivare delle discussioni, fare comunità.

Quest’ultimo punto, soprattutto, è il motore che mi ha portato a spingere affinché in un modo o in un altro la cosa si potesse fare (ma non sarebbe stata possibile senza l’impegno grandissimo delle altre persone della redazione de “La Valdichiana”). Fare comunità per me significava dire a tutte le persone queer che abitano in Valdichiana che non sono sole.

Ci tenevo a mandare questo messaggio perché la sensazione di essere “isolato” e “solo” mi ha accompagnato per buona parte della mia vita: quando ancora credevo di essere “solamente” gay, mi sembrava di vivere in un mondo di sole persone etero. La realtà non si discosta molto da questa percezione, ma ci sono persone che nella stessa situazione non soffrono quanto ne ho sofferto io: il mio vissuto ha dato forma a Valdichiana Arcobaleno.

Sarebbe bello – o forse bruttissimo – se bastasse un unico progetto fatto di otto articoli per comprendere una parte di mondo così sfaccettata e complessa come le identità queer o lgbtqiapk+ (per tutti i termini strani o che non conoscete, vedete il primo articolo). Invece Valdichiana Arcobaleno è una realtà che è stata profondamente influenzata dal mio punto di vista, e quindi è parziale. Sembrerà una banalità, ma trovo importante ripeterlo, soprattutto perché la tendenza con le persone che fanno parte di minoranze (sociali o demografiche) è considerare ciò che dicono o fanno come espressione di tutto il gruppo di cui fanno parte.

Quando ho intervistato le persone che incontrerete nelle prossime pagine ho cercato di dare più spazio possibile alla loro storia, anche nel modo di raccontarsi: avevo delle domande preparate, ma da usare solo come rete di sicurezza; tuttavia anche quando non ho fatto quelle domande, sono andato a indagare aspetti simili, perché sono quelli che attirano il mio interesse.

“Come è stato crescere in Valdichiana da persona queer, in un ambiente di sole persone etero e cisgender?”

Questo era il quesito che mi assillava e che ho posto a ogni persona intervistata: in un modo o in un altro ho incanalato il flusso delle storie che ho ascoltato.

Non solo: il modo in cui mi sono posto all’ascolto e le domande che ho fatto (anche al di fuori della scaletta preparata) esprimono ciò che io so dei temi queer e come mi relaziono alle persone. A una determinata affermazione da parte della persona intervistata, io risponderò in modo “x” invece che in modo “y” o “z”, perché nella mia mente si accenderanno certi percorsi e non altri.

Se tra qualche mese io dovessi ripartire da zero con questo progetto, probabilmente il risultato sarebbe completamente diverso. Cambio io, cambiano le cose che so, cambia il mio modo di relazionarmi alle altre persone.

Perché sto insistendo così tanto sulla parzialità di questo progetto? Perché non vorrei in nessun modo che le parole qui riportate venissero prese come “la verità”.

Non c’è niente di obiettivo. Ci sono solo le storie delle persone che ho intervistato: il loro vissuto non può essere contestato. E tuttavia so per esperienza che quando ci si racconta riusciamo a dire solo una parte di noi: se rifacessi le stesse domande a Luca, Elena, Martina, Roberta o alla persona che ha scelto di rimanere anonima, può darsi che risponderebbero in maniera diversa. Alcune di queste persone erano alla loro prima intervista e, come quando si litiga, può darsi che a distanza di tempo abbiano pensato “Perché ho detto quelle cose? La risposta perfetta mi è venuta in mente solo ora!”. Questo però è un processo che riguarda loro, non noi. Noi possiamo ascoltare le loro storie e ringraziare. Possiamo discutere di affermazioni teoriche o generali, ma non dei loro vissuti.

Una persona di cui non vediamo la faccia sta battendo le mani e dal battito scoppiano polveri colorate: gialle, verdi, azzurre, rosse. Sulla sua testa un ombrello bianco, che però è cosparso di altre polveri colorate, blu e viola.

Infine, prima di lasciarvi al progetto vero e proprio, ci tengo a fare tre ultimissime precisazioni (lo so che scrivo tanto, mi perdonerete).

Prima: ogni “identità” riassunta da un’etichetta qualsiasi è sfaccettata al suo interno. Ciò che significa “gay”, per una persona gay può significare una cosa diversa da quello che significa per un’altra persona gay. Aggiungiamoci che anche volessimo ascoltare una sola persona per ogni etichetta queer dovremmo fare un progetto con un numero imprecisato di interviste. Valdichiana Arcobaleno è una minuscola parte di un mondo vastissimo.

Seconda: quando vedete le diciture “pride”, “lgbt”, “queer” e così via accanto a iniziative di qualsiasi tipo, non prendete per buono che siano veramente a favore delle persone queer. Questo vale soprattutto per iniziative che non vengono da persone queer, ma anche all’interno dei gruppi lgbt succedono cose “che voi umani non potreste immaginarvi”. Questo succede per mancanza di consapevolezza e conoscenza, a volte; altre per scelta.

Ultima (lo giuro): le vite delle persone queer non sono limitate alla sofferenza. Questa è la narrazione che ne fanno ancora la maggior parte dei media, soprattutto quando si rivolgono a un pubblico ampio. Nelle nostre vite c’è sofferenza come in quelle di tutte le persone, parte di questa sofferenza è dovuta a un mondo che ci vorrebbe diverse da come siamo. Ma c’è anche gioia – gioia dovuta proprio all’essere queer, e finalmente iniziano a esistere narrazioni che la mettono in luce. Credo sia arrivato il momento di andare in cerca di quelle storie.


ATTENZIONE: l’ebook è riservato agli iscritti a LaV-Club! Se ti interessa, iscriviti al club e ti invieremo gratuitamente l’ebook. Tutte le informazioni al seguente link: https://www.lavaldichiana.it/lav-club/

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